Non tutti i pazienti ricevono lo stesso trattamento: ecco perché alcuni non guariscono

Ecco la seconda parte di uno degli articoli più interessanti e utili che ho letto ultimamente, che ho cercato di tradurre e semplificare per i nostri lettori.
L’articolo originale è a firma di Daniele Manfredini e Charles Greene, massimi esperti mondiali sul tema del bruxismo, ed è fondamentale perché risponde a una delle domande più scomode che ci pongono i pazienti: perchè non sto migliorando? Perchè continuo ad avere dolore?
Di fatto la risposta si può riassumere in due “semplici” frasi:
- I pazienti non sono tutti uguali e non rispondono in modo uguale alle terapie
- Non tutti i pazienti (purtroppo) ricevono lo stesso trattamento
In questo testo tratteremo il punto n°2.
Disordini Temporo-Mandibolari e Bruxismo: alcuni pazienti sono più vulnerabili
I Disordini Temporo-Mandibolari (DTM) sono molto diffusi nella popolazione: ne soffre circa il 10-15% di cui il 75-80% migliora con trattamenti semplici studiati per migliorare la gestione di bruxismo, ansia e stress.
Il restante 20-25% non migliora per molti motivi, alcuni legati ad una sorta di vulnerabilità individuale alla patologia
Queste vulnerabilità sono intrinseche al paziente stesso e renderanno la guarigione più difficile, a prescindere da quale approccio il medico avrà con quel paziente.
Ma queste non sono le uniche ragioni per cui un paziente non migliora.
Spesso infatti, anche nonostante le migliori intenzioni, la gestione incauta o inappropriata del disturbo da parte del collega può provocare diverse problematiche: non tutti i pazienti ricevono lo stesso trattamento!
Il danno iatrogeno: quando è il medico che sbaglia
E’ chiaro che tanto più un paziente è suscettibile tanto più le sue cure dovranno essere affidate ad esperti aggiornati, che seguono comprovate linee guida scientifiche internazionali, e non a fantomatici “esperti” autoproclamatisi tali sul web.
Se già è grave che il dentista generico non conosca le basi del dolore oro-facciale e sia in errore se non riconosce la vulnerabilità del paziente, è di gran lunga più grave che un collega, che si spaccia per “esperto”, proponga ancora oggi trattamenti invasivi per curare inesistenti “malocclusioni” sulla base di teorie vecchie di decenni e ormai non solo superate ma assolutamente screditate.
Questi approcci invasi infatti portano con alta probabilità a danni “iatrogeni”, che sono disagi o complicazioni o ulteriori patologie sovrapposte causate dall’attività medica di errore di diagnosi, di scelta terapeutica, di negligenza, imprudenza o imperizia.
Le ragioni del fallimento di un piano terapeutico possono essere comunque molteplici e non sono imputabili sempre e solo al medico.
Alcuni pazienti hanno una scarsa propensione a seguire la terapia per diverse ragioni: il paziente che non vuole prendere farmaci o che li prende “a modo suo”, che non vuole fare la risonanza magnetica, che non prova a gestire il bruxismo o che non esegue gli esercizi per la mandibola etc.
Il paziente deve essere informato e soprattutto responsabilizzato nei confronti della sua condizione medica! Per farlo noi medici dobbiamo essere chiari e sufficientemente convincenti però…
Molto spesso i problemi iniziano con la difficoltà iniziale per il paziente a trovare il giusto specialista, discriminando chi è davvero preparato ed affidabile e chi invece non lo è ma si spaccia per tale.
In generale bisogna evitare chi sembra proporre come terapia per i DTM la risoluzione di una presunta malocclusione, che si ottiene con terapie irreversibili (come mettere l’apparecchio ortodontico o incapsulare o limare i denti affinché i contatti diventino più “bilanciati”).
Un altro problema frequente è legato ad errori diagnostici e dunque, a cascata, di impostazione terapeutica.
Se un paziente presenta un quadro di leggero click ATM ma viene identificato come paziente con DTM, magari “maloccluso”, potrebbe venirgli prescritto un trattamento ortodontico assolutamente inutile (se non magari per ragioni estetiche, che però vanno trattate come tali).
Al contrario, se un paziente già vulnerabile presenta un quadro di DTM ma viene sottostimato e “liquidato” a prendere antinfiammatori ogni 4-6 ore, che probabilmente non serviranno a molto se non a rovinargli lo stomaco, ecco che si creeranno alcune gravi conseguenze:
- il paziente crederà di avere qualcosa di grave ed irrisolvibile, con un peggioramento della sfera psico-emozionale e una facilitazione alla cronicizzazione;
- il paziente sarà incorso in una gran perdita di tempo prima che si possa arrivare ad una giusta diagnosi e ad un giusto trattamento efficace: tanto più il dolore è “vecchio” quanto più è facile che cronicizzi;
- il paziente, pur di ridurre il dolore, si sottopone a procedure non necessarie tra cui anche inutili devitalizzazioni o estrazioni dentali, frequenti quando il dolore sembra di origine dentale ma non lo è (errore di diagnosi).
Ci sono inoltre alcune “procedure specialistiche gnatologiche” che possono portare a gravi conseguenze.
Riposizionamento articolare/mandibolare
Ancor oggi è piuttosto frequente da parte dei dentisti il tentativo di “ricatturare” il disco articolare (in caso di click o rumori articolari) o posizionare la mandibola in una posizione più “corretta”.
Solitamente questa procedura prevede due fasi: la prima in cui si usa un dispositivo (genericamente un bite) che forza la mandibola nella posizione “giusta” scelta dal medico, la seconda in cui si stabilizza tale posizione mandibolare intervenendo con un trattamento ortodontico e/o protesico di ricopertura denti, ahimè irreversibile e spesso assolutamente inutile poiché spesso i sintomi tendono a ritornare (in quanto legati al bruxismo e non alla malocclusione!)
A tale fine vengono utilizzati bite dalle fogge spesso strane e dai nomi ancora più strani, da indossare tutto il giorno, che forzano la mandibola in una posizione avanzata, solitamente percepita innaturale. Spesso il paziente, dopo qualche tempo di utilizzo h24, si ritrova con notevoli difficoltà a ritrovare la precedente occlusione, ovvero il proprio ingranaggio dentale abituale.
A questo punto la procedura ortodontica o protesica si rende praticamente necessaria perché il paziente non riesce più a chiudere i denti, con un danno iatrogeno grave biologicamente e dispendioso economicamente, senza peraltro nessun tipo di “garanzia” di successo nella risoluzione dei sintomi.
Questo approccio si è dimostrato essere senza fondamento scientifico e oggi è sconsigliato dalle principali linee guida internazionali.
Eccessivo uso di bite o dispositivi vari
Se il bite è una parte fondamentale della strategia della gestione dei DTM e del bruxismo, l’uso di questo dispositivo deve essere affrontato con molta serietà e accortezza.
Il bite deve fare parte di una terapia non invasiva (quindi proposto insieme alla terapia comportamentale e alla fisioterapia) e assolutamente NON deve essere la “prima parte” di un successivo “riposizionamento mandibolare”, procedura di cui abbiamo parlato nel precedente paragrafo.
L’uso del bite non deve essere esteso a tutta la giornata ma deve essere limitato alla notte e ai momenti di maggiore stress e tensione (che nel frattempo dobbiamo imparare a gestire più efficacemente!).
Il bite deve inoltre ricoprire tutti i denti, anche i denti del giudizio se presenti, altrimenti si rischiano spostamenti dentali non desiderati che possono cambiare irrimediabilmente gli appoggi dentali, creando sì “malocclusioni iatrogene”.
Procedure diagnostiche: molto “tecnologiche” ma non altrettanto utili
La diagnosi dei DTM è clinica, ossia viene eseguita attraverso il colloquio con il paziente e attraverso l’esame obiettivo, in cui si valutano i muscoli e l’articolazione.
In alcuni casi può essere necessario un approfondimento con esami di imaging, come la più frequente Risonanza Magnetica o la più rara TAC.
Tutto quello che è condilografia, kinesiografia, sonografia, elettromiografia, pedana posturale etc. sono assolutamente inutili ai fini diagnostici o terapeutici e possono trovare indicazione (limitata) solo nel campo della ricerca scientifica.
Inoltre le teorie che stanno alla base di tali procedure tecnologiche spesso prevedono nella loro “filosofia” proprio il riposizionamento mandibolare di cui abbiamo già parlato: seppur possono risultare affascinanti per l’ignaro paziente, questi tipi di approccio, se proposti dal curante, vanno rifiutati.
Effetto nocebo: quando il medico spaventa il paziente
Che l’intervento e le spiegazioni di un medico non preparato possano produrre false credenze, preoccupazioni e ansie non è per nulla infrequente in chi si occupa di Dolore Oro-Facciale in cliniche specialistiche.
I pazienti arrivano spaventati dopo i pareri di altri medici che gli hanno prospettato lunghe terapie, interventi chirurgici o che li hanno convinti di essere affetti da malocclusioni o asimmetrie facciali da correggere o che il rumore articolare si tramuterà sicuramente in un blocco se non fanno nulla per riposizionare la mandibola.
Più il paziente si agita e più il bruxismo sarà intenso, peggiorando i sintomi.
Più il paziente si ossessiona sulla propria occlusione e più sarà difficile convincerlo che questa non c’entra e rifocalizzarlo sulla gestione psico-emozionale del bruxismo.
Non è infrequente che pazienti, sottoposti a numerose procedure di modifiche dentali, sviluppino una vera e propria “ossessione occlusale”, che necessita un trattamento professionale psicologico di supporto.
Un unico trattamento valido per tutti i disturbi?
Nonostante gli insuccessi di una certa strategia terapeutica, alcuni clinici perseverano nel proporla ai pazienti, favoriti dal fatto che la maggior parte dei DTM è assolutamente benigna e si risolve quasi spontaneamente.
Inoltre i DTM racchiudono problematiche sia articolari che muscolari che, come gli ortopedici ci insegnano, non presuppongono la stessa terapia.
Approcciare tutti i pazienti in modo standardizzato e non personalizzato ci può rendere “ciechi” verso gli aspetti di vulnerabilità individuale di ciascun paziente, cruciali nella possibile cronicizzazione del problema.
Chirurgia articolare: procedure invasive troppo rischiose
Esattamente come per le altre articolazioni in campo ortopedico, in una minoranza dei casi è necessario intervenire direttamente all’interno dell’articolazione, laddove le altre terapie non avessero dato risultati sufficienti.
Ad oggi approcci chirurgici invasivi alle ATM hanno mostrato un rischio troppo alto di complicanze o di danni e sono pertanto sconsigliate nella stragrande maggioranza dei casi.
Esiste invece una tecnica mini-invasiva, chiamata “artrocentesi”, di lavaggio articolare e di iniezione di varie molecole farmacologiche (cortisone, acido ialuronico etc, a seconda delle situazioni) che, nelle giuste mani, combina buoni risultati con pochi rischi, ed è indicata in caso di dolore articolare e di blocco articolare acuto.
Conclusione
Come ben spiegato da Manfredini e Greene, il mix tra vulnerabilità individuale ed danno iatrogeno spiega molto bene perchè alcuni pazienti migliorano e invece altri progrediscono verso forme croniche più complesse.
L’OPPERA Study, uno studio americano condotto su un enorme numero di persone, ci rivela che le persone che presentano una di queste condizioni sono più susciettibili a sviluppare DTM:
- problematiche psicologiche (ansia, depressione, etc.)
- dolore in un altro distretto corporeo (problemi cervicali, mal di schiena etc.)
- problematiche del sonno (russamento, insonnia etc.)
- sintomi facciali
Cosa può fare il clinico di queste informazioni?
Se un clinico conosce la materia dei DTM, nonostante non possa fare nulla per migliorare la situazione anatomica, genetica o psicosociale di quella persona, dovrà:
- educare il paziente ad una buona gestione del bruxismo prima ancora che sopraggiungano dolori o problemi.
- evitare inutili trattamenti invasivi, rassicurando il paziente sull’efficacia di trattamenti conservativi e “semplici”, aiutandolo a rendersi responsabile per la propria salute attraverso sani stili di vita
- domandare a se stesso: la terapia che sto proponendo è reversibile o irreversibile?
Ogni paziente merita di ricevere la terapia che risulti essere la meno invasiva e contemporaneamente la più efficace: è la base dell’etica medica!
Non c’è dunque spazio per riposizionamenti mandibolari o cambi occlusali: non sono sufficientemente efficaci e, per contro, sono estremamente invasivi, in quanto modificheranno la bocca di un paziente per sempre senza garantire in nessun modo la risoluzione dei problemi.
ATTENZIONE: questo non vuol dire che, se un paziente sano e senza nessun disturbo chiede di raddrizzare i denti o di migliorare la propria estetica del sorriso, io gli devo negare la terapia. Fortunatamente la maggior parte dei pazienti NON svilupperà DTM.
L’importante è riconoscere il paziente più ad alto rischio e proporgli il giusto piano di trattamento in modo personalizzato, prudente e soprattutto etico.
Tratto da:
Transitioning to chronic temporomandibular disorder pain: A combination of patient vulnerabilities and iatrogenesis. Greene CS, Manfredini D. J Oral Rehabil. 2021 May 9
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